sabato 28 marzo 2009

LA POLIZIA CATALANA ARRESTA IL ROBIN HOOD DELLE BANCHE

Dae LA HAINE


Enric Duran aveva sottratto 492.000 euro come denuncia contro il sistema bancario, utilizzandoli poi per fondare un giornale di controinformazione

La polizia catalana (Mossos d’Esquadra) ha fermato l’attivista antisistema Enric Duran che è riapparso sei mesi dopo avere annunciato pubblicamente che aveva truffato 492.000 euro a 39 banche in crediti personali ed attraverso un'impresa fittizia.

Come hanno informato fonti della polizia catalana, il giovane attivista è stato arrestato all’Università di Barcellona da agenti dell'Unità Centrale Furti della Divisione di Investigazione Criminale, accusato del reato di truffa continuata.

Enric Duran è riapparso pubblicamente questo lunedì 16, sei mesi dopo la sua truffa alle banche, per annunciare che parte del denaro che ha ottenuto lo ha dedicato ad un nuovo giornale, con 220.000 esemplari in catalano che verranno distribuiti in tutta la regione, e 130.000 in castigliano che verranno distribuiti in tutta Spagna - raggiungendo oltre 400 località in distribuzione - nel quale propone un piano di azione "postcapitalista" per superare la crisi.

Secondo la sua versione, l'attivista aveva deciso di tornare a Barcellona dopo essersi esiliato volontariamente dalla Spagna per evitare che lo fermasse la polizia.

Il giovane ieri faceva presente, che solo quattro banche lo hanno denunciato penalmente e che il giudice aveva archiviato tutte le denunce, anche se la polizia aveva affermato ad ottobre dell’anno scorso, che erano 18 le entità finanziarie che avevano presentato denuncie per i ritardi nei pagamenti dei suoi crediti.

In un articolo che pubblica oggi sul giornale che ha pubblicato Duran dice chiaramente: “non sono tornato per affrontare un giudizio nè per sfuggirlo. Vogliano giudicarmi o no, questo non è importante. Quello che è importante è che è in gioco il nostro futuro. Se sto qui è perché penso che è nell'ambiente che conosco dove posso essere più utile per l'azione collettiva. È qui dove ho più conoscenze."

Il collettivo ha stabilito il 30 di giugno come data affinché "i governi" rispondano alle sue iniziative con una "proposta" di transizione reale verso questo nuovo modello economico. Se non lo fanno, solleciteranno la popolazione che, entro il 17 settembre, "abbandonino i laccEconomiai col sistema capitalista"; per esempio, ritirando tutto il denaro dai conti corenti bancari e smettendo di pagare il mutuo o l'affitto alle agenzie immobiliari.

Titolo originale: "La policía catalana detiene al "Robin de los bancos" al día siguiente de reaparecer"

Fonte: http://www.rebelion.org

giovedì 19 marzo 2009

Individualisti ed Associazionisti

Se e’ vero che al fondo dell’anarchismo c’è sempre il sale dell’individualismo, cioè la rivendicazione dei diritti dell’individuo contro le pretese dello Stato, delle chiese, dei partiti, non sarebbe tuttavia giusto identificare individualismo e anarchismo.

Ad esempio, sul problema dell’assetto sociale di una società anarchica si riscontrano vari e diversi indirizzi : un anarchismo comunista, cioè per la completa comunione dei beni, un anarchismo più moderatamente socialista, un anarchismo genericamente solidarista e infine, nettamente minoritario, un anarchismo individualista. Particolare importanza ebbe il c.d. individualismo antiorganizzatore e, in fondo, un pò di questo anarchismo fu presente in tutte le prese di posizione del movimento anarchico sul problema dell’organizzazione e, più specificatamente, del partito. Ma ad un certo momento, questo motivo polemico cominciò a lavorare come un tarlo contro lo stesso anarchismo di tendenza associativa, a orientamento federalista. Fu negli anni ottanta che si diffuse un anarchismo che prima istintivamente e poi in modo più programmatico razionalizzava questa disorganizzazione di fatto ed avversava qualsiasi forma di associazione generale e permanente. Lentamente il rifiuto dell’organizzazione invase tutto il corpo del movimento anarchico, sicché, quando Malatesta cercò di tirare le fila di un “partito”, sia pure immune da ogni centralismo e impiantato su una base largamente federativa, cozzò contro fortissime resistenze psicologiche. Perciò bisogna distinguere due tempi di sviluppo di questo individualismo : un primo tempo di generica e ancora confusa insofferenza verso certe strutture e procedure e successivamente una precisa formulazione di una dottrina dell’individualismo anarchico. Connessa a questa corrente fu l’individualismo d’azione, in quanto, rifiutato il partito, rifiutato il lavoro di organizzazione, di consultazione, di elaborazione di una politica, rifiutata la presenza nei sindacati, agli individualisti restava come unico mezzo di lotta e di presenza politica l’ “atto individuale”. E dell’atto individuale, l’attentato o qualsiasi altra forma di protesta violenta, essi fecero il perno del loro impegno rivoluzionario. E’ così che, mentre l’individualismo teorico restava ai margini, l’individualismo antiorganizzatore e l’individualismo d’azione confluivano in un’unica corrente : l’anarcoindividualismo. Infatti, fin dai tempi della prima Internazionale, gli anarchici italiani avevano sempre solidarizzato con gli attentatori, sia Passanante che Hoedel e Nobiling, che avevano attentato alla vita dell’imperatore di Germania nel 1878.

Gli anni settanta si chiusero in Italia con i processi alle bombe. Gli anni ottanta furono in Europa tutto un seguito di esplosioni sotto i troni dei monarchi, contro gli edifici o i simboli del potere costituito e contro le persone fisiche che lo rappresentavano.

In Russia il 1° marzo 1881 terroristi della Narodnaja ( i c.d. narodniki, da narod=andare al popolo, ossia i populisti) uccisero lo zar Alessandro I, determinando una strage. In Austria due anarchici, accusati di avere ucciso dei poliziotti, vennero impiccati. In Germania, in seguito ad un fallito attentato contro l’imperatore Guglielmo I, due anarchici, Reinsdorf e Kuchler vennero condannati a morte. Il Reinsdorf, giunto dinanzi al ceppo per la decapitazione, gridò :”Viva l’Anarchia ! Abbasso la barbarie !”.

A Chicago, negli Stati Uniti, in occasione di una dimostrazione operaia, il 4 maggio 1886 parecchi poliziotti restarono sul terreno in seguito all’esplosione di una bomba. Vennero arrestati, come colpevoli, alcuni organizzatori sindacali, quasi tutti di idee anarchiche, e cinque di essi furono condannati a morte. L’11 novembre 1887, quattro di essi salirono sulla forca. Il quinto, si era ucciso in carcere, facendosi esplodere una cartuccia di dinamite in bocca. Furono chiamati i “martiri di Chicago” e divennero subito un tema caro alla propaganda socialista ed anarchica, che dette origine alla festa del 1° maggio.

Si è accennato ad alcuni episodi principali del terrorismo nel corso degli anni ottanta. Tutti questi fenomeni, e molti altri minori, crearono l’ambiente per la genesi e lo sviluppo delle correnti individualiste. Queste correnti teorizzavano l’illegalismo in ogni forma, dalla violenza contro i rappresentanti del mondo ufficiale al furto espropriatore per procurarsi i mezzi finanziari per le loro imprese.

Nell’ottobre del 1889, Malatesta tornò in Europa dopo un lungo esilio in Argentina. A Nizza fondò un giornale, L’Associazione. In Italia non esisteva più la vecchia Internazionale e non esisteva ancora il partito socialista. Malatesta, dunque, intravide la possibilità di richiamare gli anarchici e insieme a loro tutto il movimento socialista italiano, ancora largamente impegnato di anarchismo, intorno ad un programma rivoluzionario, in alternativa alla tendenza parlamentare. Il giornale si propose di essere il portavoce di tale programma e lo strumento di una ripresa organizzativa di cui tutti sentivano la necessità. Il piano d’azione pratico era quello tradizionale e, quanto ai mezzi, non si discostava molto da quello degli individualisti. Tuttavia, Malatesta se da una parte invitava a “profittare di tutte le occasioni, di tutti gli avvenimenti politici, economici e giudiziari, per indurre il popolo a impadronirsi della roba, ad offendere l’autorità, a disprezzare e a violare la legge”, dall’altra raccomandava di “ispirare l’amore, la solidarietà, lo spirito di sacrificio verso i poveri e gli oppressi”. Nessuna concessione al parlamentarismo e all’elettoralismo, cui veniva opposta l’azione diretta dei coscritti che disertavano, dei soldati che si ribellavano, dei fittavoli che non pagavano i canoni, degli scioperanti che imponevano i loro patti ai padroni “con la forza ed il saccheggio”. Questa azione veniva inquadrata in una strategia di rivoluzione armata, da portare avanti con la partecipazione delle masse e con l’obbiettivo della comunanza dei beni : generi di consumo, case, terre, macchine, materie prime, strumenti di lavoro, ecc.

Questa è la prima differenza tra anarchici individualisti ed anarchici associazionisti : i primi volevano l’azione per l’azione, eversiva e distruttrice ; i secondi volevano la rivoluzione che, senza autorità e senza obbiettivi di potere, si presentava come organizzato e responsabile atto politico di trasformazione sociale. La seconda differenza consiste nell’idea di partito che gli associazionisti si proponevano di costituire sul piano nazionale e internazionale e su una base politica molto larga, che comprendesse insieme agli anarchici, anche i socialisti antiparlamentari e comunque tutti i rivoluzionari : un partito con strutture federative e libertarie, ma con i connotati di una organizzazione generale permanente. Gli individualisti rifiutavano la proposta di un partito anarchico e accettavano solo forme di intesa di un gruppo per determinare azioni di propaganda o di protesta (il giornale, l’attentato, ecc.). la terza differenza riguarda il grande interesse che gli associazionisti attribuivano alla partecipazione delle masse all’azione rivoluzionaria, con particolare riguardo al mezzo dello sciopero, in polemica con le azioni di minoranze o di individui che passavano con i loro attacchi sopra la testa delle masse, mancando allo scopo di educarle e sboccando in soluzioni autoritarie.

In questo spirito, si capisce come Malatesta deplorasse sul suo giornale ogni forma di polemica personale e astiosa contro i socialisti e faccia una aperta autocritica della tattica insurrezionale seguita ai tempi dell’Internazionale e portasse avanti un preciso discorso politico.

Il 4, 5 e 6 gennaio 1891 si tenne nel piccolo centro ticinese di Capolago si tenne un congresso nazionale degli anarchici, promosso dal Malatesta. Esso fu il più importante fatto organizzativo dopo la fine dell’Internazionale ed ebbe un pieno successo, non solo per la partecipazione di delegati ma anche perché rispose pienamente agli intenti dei promotori. Insieme a Malatesta, parteciparono anche personalità come Merlino, Molinari, Gori, Cipriani e Agostinelli.

Dal congresso uscì il partito, anzi la federazione italiana di un Partito socialista anarchico rivoluzionario internazionale, la cui estensione ad altri paesi era nei propositi dei suoi fondatori.

Il congresso decise all’unanimità di aderire alla festa del 1° maggio per farne una grande occasione di agitazione sociale e di lanciare un appello ai socialisti e al popolo d’Italia. L’appello, diffuso in tutta la penisola, conteneva un compendio delle idee socialiste e anarchiche :

“Tu credesti nei preti e sperasti in Dio ; ma Dio fu sordo alle tue preghiere e i preti si allearono coi tuoi padroni ed ingrassarono alle tue spalle.

Tu credesti nei patrioti ; combattesti per conquistarti una patria, e la patria ti ha sfruttato, affamato, umiliato. Tu credesti nella libertà ; per la libertà cospirasti e combattesti e la libertà si rivelò amara ironia, che solo ti lascia libero di morire di fame. Tu credesti e credi ancora nei ciarlatani si fanno sgabello di te e saliti in alto ti opprimono, ti irridono, ti sfruttano...

Ancora una volta, rivoltati da te e per conto tuo. Abbatti il governo ; prendi possesso della terra, delle case, delle macchine, dei generi alimentari, di tutto ciò che esiste, ed organizza da te la produzione ed il consumo per il maggior vantaggio di tutti.

Soprattutto, non rinunziare nelle mani di alcuno alla libertà che avrai conquistata.”

Negli anni tra il 1891 e il 1893 Malatesta e Merlino, fra cospirazioni, persecuzioni ed esili, svolsero un intenso lavoro di difesa e di riqualificazione dell’anarchismo socialista ed organizzatore, differenziandolo nettamente dall’individualismo. Merlino, più che Malatesta polemizzò contro l’anarchismo nullista, ponendo francamente il problema di una separazione. Lo spirito critico di Merlino, la sua attenzione costruttiva ai problemi economici e sociali del dopo-rivoluzione, la convinta adesione ad un socialismo fondato al tempo stesso sulla solidarietà e sulla libertà, lo distaccavano nettamente dall’anarchismo individualista e dinamitardo. Anche Malatesta fu molto preoccupato dal diffondersi di tendenze negative, settarie e autodistruttive.

Senza far mancare la propria solidarietà morale agli atti di protesta come gli attentati, egli ne vedeva i limiti e indicava il rimedio all’isolamento in cui il movimento era caduto dopo la fine dell’Internazionale, nella presenza degli anarchici nelle organizzazioni operaie, nelle agitazioni e negli scioperi. Contro gli atteggiamenti “suicidi” degli individualisti, Malatesta delineava una azione di massa, non solo per ragioni pratiche (“la rivoluzione non si fa con quattro gatti”) ma anche per una ragione di principio : perché una rivoluzione libertaria non poteva essere condotta da piccole minoranze alla guida di masse acefale, ma doveva avere le grandi masse come vere protagoniste. Per questo Malatesta invitava i suoi compagni a rituffarsi e ritemprarsi, oltre che nell’organizzazione di partito, nell’associazionismo operaio allora, sull’esempio francese, in grande espansione.

venerdì 6 marzo 2009

La Cina rompe il suo silenzio sull'Afghanistan

AUTORI: M.K. BHADRAKUMAR

Tradutzioni dae Manuela Vittorelli



Nel contesto violento e letale in cui visse e sopravvisse per poi guidare la marcia di Pechino verso un socialismo dai tratti cinesi, Deng Xiaoping aveva motivo di essere cauto. Sull'atteggiamento internazionale della Cina, Deng ebbe a dire: “Osservare pacatamente; fortificare la nostra posizione; occuparsi con calma degli affari; tenere celate le nostre capacità e attendere il momento opportuno; saper mantenere un basso profilo; e mai rivendicare il comando”.

Dunque la Cina non ha mai detto quello che pensa del problema afghano. L'organo del Partito Comunista Cinese, il People's Daily, ha ora infranto quella regola empirica con un editoriale ricco di sfumature.

Naturalmente il momento è critico: il clima della regione che circonda l'Afghanistan minaccia di diventare infernale in men che non si dica. Ma questo non basta a spiegare la scelta dei tempi per un editoriale cinese intitolato “Avranno successo le correzioni alla strategia anti-terrorismo degli Stati Uniti?”

Il contesto è importantissimo. Il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha appena concluso un'epocale visita in Cina. Pechino sta chiaramente tirando un sospiro di sollievo per il “senso di certezza” nelle relazioni sino-americane sotto il Presidente Barack Obama. Inoltre Pechino è rimasta affascinata dal fatto che Clinton abbia citato l'antico aforisma cinese tongzhou gongji –“su una stessa barca ci si aiuti a vicenda” – come spirito dei nostri tempi difficili. Questo va ben oltre l'amore severo di George W. Bush, che voleva rendere la Cina uno “stakeholder” nel sistema internazionale.

Tra gli argomenti trattati da Clinton con i leader cinesi ci sarà stato sicuramente l'Afghanistan, tanto più che la sua visita ha coinciso con l'annuncio della decisione di Obama di aumentare il contingente statunitense in Afghanistan.


Statuetta di plastilina raffigurante Hillary Clinton realizzata dall'artista cinese Peng Xiaoping. Foto Reuters.

Pescare nel torbido
Ci sono però altri due sottintesi. Gli Stati Uniti stanno tangibilmente cambiando marcia nella loro politica in Asia Meridionale, come risulta evidente dalla decisione di Obama di nominare Richard Holbrooke rappresentante speciale per l'Afghanistan e il Pakistan. Holbrooke non è nuovo a Pechino.

Evidentemente, all'indomani della recente visita di Holbrooke nella regione, Pechino ha concluso che la relazione degli Stati Uniti con l'India sta entrando in una fase qualitativamente nuova che ha mostrato alcuni segni di attrito. Per Pechino è vantaggioso pescare nel torbido e accumulare ulteriori pressioni sul suo vicino meridionale.

In secondo luogo, il Ministero degli Esteri russo ha annunciato la scorsa settimana che erano stati estesi gli inviti per l'attesa conferenza sull'Afghanistan della Shanghai Cooperation Organization (SCO, Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione), che si terrà a Mosca il 27 marzo. Per Pechino si avvicina il momento di prendere posizione sul problema afghano. I sermoni reticenti non possono più bastare.

La Cina ha un senso di solidarietà con la Russia – o con paesi osservatori della SCO come l'India e l'Iran? Pechino però non può neanche permettersi di dissipare l'attuale slancio di cooperazione con l'amministrazione Obama. E gli Stati Uniti (e i loro alleati) stanno boicottando la conferenza della SCO.

Dunque prossimamente potremmo assistere ad alcuni formidabili equilibrismi di Pechino. L'editoriale del People's Daily ha praticamente sollecitato un ampliamento del mandato di Holbrooke a includere il “problema indo-pakistano”. Certo, non nomina il Kashmir, ma non lascia dubbi sul fatto che proprio al Kashmir stia alludendo: e cioè che gli Stati Uniti dovrebbero mediare per una soluzione a ciò che il Pakistan definisce “una questione centrale” nelle sue tese relazioni con l'India.

L'editoriale cinese dice che il solo aumento del contingente americano in Afghanistan non può contribuire al raggiungimento degli “obiettivi strategici” di Obama, a meno che gli Stati Uniti non stabilizzino l'Asia Meridionale, soprattutto la relazione tra Pakistan e India. Così prosegue l'editoriale:

È chiaro che senza la cooperazione del Pakistan gli Stati Uniti non possono vincere la guerra contro il terrorismo. Dunque per salvaguardare i loro interessi nella lotta al terrorismo nell'Asia Meridionale gli Stati Uniti devono assicurare al Pakistan un clima interno e internazionale stabile e alleviare le tensioni tra il Pakistan e l'India. Ciò rende facile capire perché Obama abbia nominato Richard Holbrooke inviato speciale per l'Afghanistan e il Pakistan, e perché l'India sia stata inclusa nel primo viaggio all'estero di Holbrooke. Di fatto, il “problema afghano”, il “problema pakistano” e il “problema indo-pakistano” sono tutti collegati. (Corsivo mio).

Non sono parole buttate lì. E queste osservazioni poco amichevoli difficilmente passeranno inosservate a Nuova Delhi. I diplomatici indiani hanno fatto di tutto per far sì che l'incarico di Holbrooke non coprisse l'India, benché nei think tank americani e nell'establishment statunitense ci sia una consistente corrente di pensiero che insiste sul fatto che finché il problema del Kashmir resterà irrisolto le tensioni tra l'India e il Pakistan continueranno. Pechino adesso ha fatto il suo ingresso nella discussione. Si esprime apertamente a favore della posizione pakistana.

Il fatto interessante è che Pechino tralascia del tutto la causa fondamentale dell'“anti-americanismo” diffuso in Pakistan, che ha molto a che vedere con l'interferenza degli Stati Uniti negli affari interni di quel paese, soprattutto il sostegno americano alle dittature militari, o con la psiche ferita dei musulmani o con la brutale guerra in Afghanistan. Anzi, l'editoriale cinese tace sulla questione centrale dell'occupazione straniera dell'Afghanistan.

Pechino non può nutrire ingenuità sul fatto che la contrarietà dell'India all'intervento di terzi in Kashmir sia meno acuta dell'allergia di Pechino a tutto ciò che concerne l'opinione mondiale sul Tibet o lo Xinjiang. Una possibile spiegazione può essere che Pechino vede con nervosismo la prospettiva che l'India decida nuovamente di giocare la “carta del Tibet” nell'imminenza del 50° anniversario della rivolta del Tibet, che ricorre il prossimo mese.

In vista di quell'anniversario Pechino sta usando la mano pesante con i nazionalisti tibetani. Si può supporre che intenda avvisare l'India che anche la Cina potrebbe usare una “carta del Kashmir”. Tutto considerato, dunque, gli strateghi indiani dovranno analizzare tutto lo spettro delle motivazioni cinesi che stanno dietro alla richiesta di una mediazione statunitense nella disputa tra India e Pakistan proprio in questo frangente, subito dopo i colloqui tra Hillary Clinton e la dirigenza di Pechino.

Oltre all'India, Pechino vede anche la Russia come un'altra potenza regionale che influisce negativamente sulla strategia statunitense di stabilizzazione dell'Afghanistan. (Tra l'altro, l'editoriale ignora del tutto l'Iran, come se non fosse un fattore di peso sullo scacchiere afghano). L'editoriale scrive: “.... gli Stati Uniti devono cercare di placare la Russia. La regione dell'Asia Centrale, dove è situato l'Afghanistan, era tradizionalmente una sfera di influenza russa... Se le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia mostrano segni di ripresa dopo l'ascesa alla presidenza di Obama, le reazioni russe alla decisione statunitense di incrementare il contingente in Afghanistan sono alquanto oscure”.

Dunque, cosa farà Obama? Pechino esprime la seguente valutazione: “È evidente la determinazione della Russia a non permettere agli Stati Uniti di avere il controllo esclusivo sulla questione afghana. Il modo in cui gli Stati Uniti gestiscono la loro relazione 'collaborativa e competitiva' con la Russia sul problema afghano metterà alla prova la capacità degli Stati Uniti di conseguire i propri obiettivi strategici in Afghanistan”.

Ma la Cina è anche parte interessata nei due contenziosi che affliggono attualmente le relazioni tra Stati Uniti e Russia: l'espansione della NATO in Asia Centrale e il posizionamento del sistema di difesa antimissile degli Stati Uniti. La Cina non può soffrire l'espansione della NATO nella propria sfera di influenza centro-asiatica e si oppone al sistema di difesa antimissile statunitense che demolirà la capacità di attacco nucleare della Cina, che è relativamente ridotta.

Ma, come direbbe Deng, perché rivendicare il comando dell'opposizione a queste mosse statunitensi quando Mosca sta già facendo uno splendido lavoro?

L'editoriale del People's Daily distingue tra gli interessi russi in Afghanistan. Implicitamente, invita Washington a non interpretare la prossima conferenza della SCO come una sorta di coalizione di Cina e Russia. Inoltre, affermando che la chiusura della base aerea di Manas da parte delle autorità kirghize fa parte di “un gioco strategico tra Stati Uniti e Russia”, il People's Daily ha di fatto ridimensionato la prossima conferenza della SCO. Dopo tutto, la ragion d'essere della conferenza è che la situazione afghana rappresenta una minaccia per la sicurezza dell'Asia Centrale. Ma l'editoriale cinese non nomina questo aspetto nemmeno una volta.

Sintetizzando, quello che emerge è che indipendentemente dalla determinazione di Mosca a sfidare il “monopolio [statunitense] sulla risoluzione del conflitto” in Afghanistan, la Cina non si farà trascinare in questi calcoli. Come direbbe Deng, la Cina osserverà con calma e manterrà un basso profilo. Dopo tutto, la Russia si sta facendo strada a forza in Afghanistan e se avrà successo ne beneficeranno non solo la SCO ma la Cina stessa. D'altro canto, se gli Stati Uniti decideranno di ignorare la Russia ne uscirà danneggiato solo il prestigio di Mosca, non quello di Pechino.

Pechino è indispettita dai nuovi fermenti nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia? Mosca avrebbe motivo di riflettere sul perché il People's Daily abbia scelto di battere sul tasto del risentimento russo per l'influenza statunitense in Asia Centrale in un momento così delicato, proprio quando l'amministrazione Obama ha deciso di non far pesare la chiusura della base di Manas sulle relazioni con la Russia. Il fatto di essere dipinta come “guastafeste” nella strategia di Obama per l'Afghanistan potrebbe mettere Mosca in imbarazzo.

Mano tesa agli islamisti
L'aspetto straordinario dell'editoriale cinese è il riferimento obliquo alla questione centrale dei taliban. Pare che Pechino non abbia di per sé alcun problema se i taliban trovano posto nella struttura di potere afghana nel quadro di una soluzione politica. Fatto interessante, l'editoriale consiglia agli Stati Uniti di essere “pragmatici a proposito delle vere condizioni dell'Afghanistan”. Esprime anche supporto per l'argomento secondo il quale l'Afghanistan è privo di “quasi tutti i prerequisiti della modernità”. Suggerisce inoltre che l'Afghanistan non può essere uno stato unitario.

Questi commenti vanno considerati alla luce della linea di pensiero diffusasi tra le élite statunitensi e britanniche secondo la quale un approccio “dal basso verso l'alto” che comporti la diffusione del potere statale a favore delle dirigenze locali potrebbe essere la risposta ai problemi dell'Afghanistan e il sistema migliore per coinvolgere i taliban nella struttura di potere delle regioni pashtun.

Originale: China breaks its silence on Afghanistan

Articolo originale pubblicato il 25/2/2009

L’autore

Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.

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